Atelier Alchimia
Disegni

Disegni

Fra l’idea che c’è dentro la mente di un artista e l’immagine oggettivata, ci sono quei “mezzi” (quelle materie e quei supporti) che ne permettono la realizzazione concreta. Spesso quei mezzi sono di tipo antico, senza per questo essere sorpassati, come la matita, i pennelli, i colori a olio, le carte, le tele, il gesso e tanti altri, spesso sono di genere nuovo, come la grafica computerizzata. Qualsiasi mezzo ha il suo fascino e rientra fra i materiali estetici, quando è adatto a portare a giusto compimento fisico l’espressione di un’idea.

Spesso quei mezzi sono di tipo antico, senza per questo essere sorpassati, come la matita, i pennelli, i colori a olio, le carte, le tele, il gesso e tanti altri, spesso sono di genere nuovo, come la grafica computerizzata. Qualsiasi mezzo ha il suo fascino e rientra fra i materiali estetici, quando è adatto a portare a giusto compimento fisico l’espressione di un’idea.

L’Atelier Alchimia, per esempio, ha una specie di bisogno frenetico, di ossessione di Disegnare, di colorare con tempere e acrilici sopra a dei cartoni bianchi. Ogni autore perfeziona e possiede i suoi mezzi tecnici specifici, che ne fanno un virtuoso nel rapporto fra la qualità dell’idea e la forza dell’oggetto realizzato. Il virtuosismo di Alchimia si concentra nella sua mania (antica) del disegno.

Ma vorrei spostare le considerazioni su un aspetto preciso di questo Bisogno di disegnare. Come transfuga (quasi) dall’architettura costruita, amo tutti i “sogni di architettura”. C’è bisogno, oggi, di oggetti lontani, molto lontani e anche perfetti. Mentre la vita (e le idee) si muovono troppo vorticose, certi designer-poeti disegnano e disegnano, per antidoto alla crudeltà del realizzare e del costruire. Si tratta di Disegni/Design, di un paradosso completo e definito “in sé”. Sono “cose” immaginarie, oggetti mentali collocati su luoghi ideali, dentro a spazi-tempo che sprofondano nei cieli della nostalgia metafisica. Cose, spesso, inadatte alla presenza delle persone, simboli complessi, concettuali e risucchiati fuori dalla vita, che vorrebbero la presenza di un uomo perfetto, che da quei disegni è assente, che “non c’è”. Fece così Sant’Elia, fanno così oggi alcuni Maestri della Tendenza e del post-moderno che è inutile citare, è così per Alchimia, che compone centinaia di schizzi e designi, con linee appuntite e molli, aste, puntini, textures, bandiere al vento, piani e volumi, toni acri o delicati, un inesausto variare di figurazioni evocative della sua utopica città, la “città Alchimia”.

Il design, si sa, non coincide solo con l’opera realizzata, ed è di oggi la polemica fra design-pittura e pittura-design, da quando è emerso come fondamentale (nella valutazione di un progetto) il gradiente filosofico che esso sottende. Il disegno di un oggetto, se fatto grande “al vero”, coincide con l’opera effettiva, né è la squama appiattita: il disegno è un’opera autonoma che rappresenta sé medesima. Disegno e oggetto si sovrappongono, la comunicazione diventa realtà nel momento stesso in cui acquista il “volume”. Il disegno assume l’aspetto di una scultura-oggetto, il rapporto fra vero e falso diviene ambiguo, la realtà si trasforma in una apparizione, in un souvenir della tipologia dell’oggetto stesso: la pittura progettata coincide con il design pittorico.

I disegni di Alchimia non sono perciò un commento al suo progetto, non sono un “rendering” e non hanno la tradizionale funzione tipica del rilievo e del disegno tecnico: essi sono, invece, dei Disegni di design. E di Alchimia riflettono i vari meccanismi e le molte sfuggenti attidutini: turbolenza stilistica, trasformismo, cleptomania, aggressività “dolce”, banalizzazione, manierismo, frammentazione caleidoscopica, vocazione alla promozione intensa del messaggio. La formula è chiusa: Disegno uguale Progetto uguale Oggetto uguale Comunicazione uguale Disegno. Perché ad Alchimia non interessa molto se sta facendo un disegno o un oggetto, o una scultura, architettura, scenografia, arte o altro. Essa agisce sotto l’impulso della “cosmesi universale”, per ricoprire il mondo di decorazioni, al di fuori del progetto, in uno stato di neutralità disciplinare, dimensionale e concettuale. Per Alchimia vale l’ipotesi che i metodi di ideazione e di produzione possano convivere e mescolarsi, all’interno di un concetto-base, quello di Variazione. Data l’insufficienza del progetto ad affrontare il mondo, esso viene sostituito dal disegno, che diventa un’opera senza principio, senza fine e senza giustificazione, una formalistica rete di stilemi e di riferimenti visivi. I giochi linguistici si intrecciano, si combinano e si ripetono nei decori dei disegni, dei dipinti, delle sculture e degli oggetti, in un sistema valido solo all’interno di sé, in un vagare della fantasia allegro e tragico insieme. Al limite, questo lavoro incessante è “assenza di pensiero”, è vuoto e pura meditazione, è una convenzione (potrebbe essere altro), è esperienza sensibile e non esperienza logica: Disegno come respiro. Alessandro Mendini Disegni Alchimia 1982-1987, Umberto Allemandi & C:, 1987